sempre devota

e pronta a farti disporre di me,

del mio corpo abusato,

dei miei pensieri dedicati,

dei miei buchi posseduti,

delle mie parole sconce,

dei silenzi d’amore,

del culo aperto,

dei gemiti ingoiati,

della figa fradicia,

delle urla soffocate,

dei capezzoli doloranti,

dei mormori confusi,

delle chiappe segnate,

della bocca oltraggiata,

di me intera,

io.

cagnescamente disponibile.

menù di carne

“è una coscia, una semplice, semplicissima coscia”

mi sfiori sotto al tavolo e la sento, tirare i tuoi pantaloni, quasi a farli scoppiare: dura, robusta, scattante

mangio e mi ripeto “è una coscia, una semplice, semplicissima coscia” ma tu ti strusci e inghiotto di fretta il boccone, capezzoli ritti, voglia di te

mi guardi e sorridi, dal maglione si vedono i piccoli chiodi impigliati nella lana e un leggero rossore sul viso. la gente intorno scompare, un chiacchiericcio lontano e inutile, mi ronzano le orecchie

“è una coscia, una semplice, semplicissima coscia” mi diresti se sapessi cos’ha scatenato la mia voglia

ma io apro le gambe, coperte dalla tovaglia, sposto le mutandine e affondo il dito lì, al caldo umido, come se fossi un soufflè bollente, gonfio da scoppiare

ti vedo, lì, come ieri, riflesso nello specchio: tu che mi monti a pecora e io che fisso quella coscia (quella semplice, semplicissima coscia) che forza sul ginocchio, affossato nel materasso, e si fa forza per spingere

inculandomi